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PITEA DI MASSALIA : L'OCEANO |
Osservatorio
Astrofisico di Arcetri |
PITEA di MASSALIA, L'OCEANO, Introduzione, testo, traduzione e commento a cura di Serena Bianchetti, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa 1998, 227p. |
Il volume offre
una raccolta completa dei frammenti del Perì okeanoû, opera composta nella seconda metà del IV sec. a.C.,
da un greco di Marsiglia, Pitea. Approfondendo e contestando le
affermazioni di Eudosso di Cnido relative alla definizione del polo,
Pitea afferma che "al polo non c’è alcuna stella, ma si tratta
piuttosto di uno spazio vuoto, vicino al quale sono tre astri: unendo
questi ultimi e il punto che indica il polo, si ottiene una figura molto
simile ad un quadrangolo". |
Si coglie subito in questo frammento la caratteristica della ricerca piteana che si configura come un'indagine scientifica dei fenomeni astronomici derivanti dalla teoria eudossiana delle sfere omocentriche: stabilito infatti che la terra sferica si trova al centro della sfera celeste e che, secondo le proposizioni euclidee, la terra può essere assimilata al centro di un cerchio, la definizione della latitudine dei diversi luoghi toccati durante l’esplorazione non potrà che essere una conseguenza della sphairopoiia o "teoria della sfera". |
E’ dunque un astronomo, prima che un esploratore, il Pitea che emerge da questa edizione de L'oceano: uno scienziato inserito nel contesto della ricerca del suo tempo e valutato, altresì, per l'influenza esercitata dalle sue teorie sull'indagine di Eratostene di Cirene, Ipparco di Nicea e di Tolemeo. E’ un dato di fatto, tuttavia, che la fortuna di cui Pitea potè godere presso i "geografi scienziati" pare quasi inversamente proporzionale alla sfortuna e addirittura al disprezzo con cui le teorie del Massaliota furono valutate dai "geografi letterati": Polibio e soprattutto Strabone non risparmiarono infatti critiche a racconti che avevano il sapore della menzogna in quanto dimostrazione empirica di teorie incomprensibili. La descrizione dei paesi dalle lunghe notti, di quel "miscuglio di terra, acqua e aria" su cui "non era possibile né camminare né navigarel' ( in sostanza la prima fotografia del grande Nord, con l'isola di Thule localizzata a 66°N ) costituisce per Strabone, geografo dell'impero, un’eresia inconciliabile con la concezione dell'ecumene augustea estesa fino a Ierne-Irlanda, cioè fino a 54-56°N. |
Proprio
l'isola di Thule, localizzata
mediante precise coordinate astronomiche, rappresenta
la tappa più settentrionale raggiunta dall'esploratore che, negli anni
di Alessandro Magno,navigò da Marsiglia a Gibilterra per proseguire
lungo la costa portoghese e il golfo di Biscaglia, puntando poi alla
Britannia, costeggiata verosimilmente
lungo il lato occidentale, per dirigersi infine
verso Thule (identificabile con un fiordo norvegese) e da lì verso le
isole Frisone. Da qui iniziò il ritorno effettuato lungo le coste della
Germania, della Francia, della Spagna e del Portogallo fino al rientro
nel Mediterraneo e all'approdo a Marsiglia. Un lungo viaggio, dunque,
dettato, nell'interpretazione dell'A., dalla necessità di
dimostrare empiricamente le conseguenze derivanti dalla sphairopoiia :la
scoperta dei luoghi dove "il sole va a dormire per lunghi periodi"
non è infatti che la conseguenza della diversa durata dei periodi di luce
prodotti dal sole che è immaginato ruotare intorno
alla terra lungo un'orbita (eclittica) inclinata sul piano dell'equatore. |
Le
motivazioni di ordine economico, che avranno giustificato e reso
possibile l'impresa, non sembrano costituire perciò il motore dell'esplorazione piteana, nella quale scienza e pratica di navigazione
si coniugano inscindibilmente. Utilizzando infatti un'esperienza
codificata in peripli di antica tradizione, Pitea ripercorre le antiche
rotte dello stagno, verso le mitiche isole Cassiteridi, e affronta i
mari del Nord alla scoperta di itinerari alternativi che conducano all'ambra,
prezioso materiale che giungeva all'Europa meridionale lungo i grandi
fiumi del continente: la rotta dello stagno e la via dell'ambra sembrano
costituire quindi una sorta di itinerario lungo il quale l'esploratore
massaliota verifica gli effetti pratici di una ricerca astronomica
condotta su base geometrica. |
L'impresa
piteana, della quale vengono suggerite le tappe mediante la scelta della
successione dei frammenti analizzati, risulta,in conclusione, un viaggio
non tanto verso l'ignoto quanto piuttosto attraverso luoghi e popoli
descritti con una precisione e con un rigore del tutto estranei alle
narrazioni fantastiche. La Thule piteana, che diventerà nella
tradizione giunta fino a W. Goethe e U. Eco un' isola legata più al
mito che alla realtà, è il luogo dove "il tropico estivo si
identifica con il circolo artico", il luogo dove vivono popoli
barbari, diversi dai Greci e al di là del quale è difficile immaginare
forme di vita. La tappa più settentrionale toccata dall'esploratore è
perciò destinata a diventare, nell'immaginario antico, l'estremo lembo
settentrionale del mondo, quell’ultima Thule
che costituisce l’estrema frontiera della ricerca umana. |